Attenti a quel selfie! Quando gli animali sono sfruttati per il nostro divertimento

Negli zoo, nei falsi santuari, nelle strutture che accolgono i volontari. In Africa, negli Stati Uniti, in Thailandia, in Egitto.  A qualsiasi latitudine, i soprusi le violenze e i rischi sono altissimi per gli animali coinvolti nell’industria del turismo. Tutto per una fotografia e per il nostro divertimento: ecco la guida dei posti dove non andare

Animali sfruttati per il turismo. Quando tutta la crudeltà del mondo si può nascondere dietro un selfie. Succede ogni volta che una scimmia viene costretta a ballare per uno scatto, quando un gorilla viene disturbato nella sua quiete e avvicinato, con il rischio di trasmettergli un virus, solo per apparire nello sfondo di una foto; quando l’immagine desiderata è quella di due o tre turisti comodamente seduti sul dorso di un elefante. Quando il recinto di un area di uno zoo destinata a scimmie, rinoceronti o leoni viene scavalcato per apparire ancora più vicini all’affascinante animale che non ne vuole proprio sapere della nostra presenza. Succede ogni volta che per un nostro desiderio, un animale è trasformato in oggetto e reso protagonista di un’immagine che, tornati a casa, servirà solo a raccontare “io c’ero”.

A San Diego, in California, l’elefante si ribella all’intrusione di padre e figlia
È successo solo pochi giorni fa: allo zoo di San Diego, in California, un papà in visita con figlioletta di soli due anni ha pensato bene di scavalcare il recinto dell’area elefanti per avvicinarne uno e scattare il magico selfie. Ma l’elefante ha giustamente reagito alla piccola invasione e ha cominciato a barrire, provocando una fuga frettolosa e una caduta rovinosa di padre e figlia. Fortunatamente senza nessuna conseguenza per entrambi, a parte lo spavento. Ma probabilmente la bimba d’ora in poi vorrà rimanere il più lontana possibile dal mondo animale. E sul futuro dell’animale ancora nessuna notizia. Spesso infatti ritenuti responsabili di una reazione troppo aggressiva nei confronti degli umani, gli animali che si imbattono in queste disavventure subiscono la sorte peggiore e vengono abbattuti.

Cincinnati, Isole Svalbard, Arizona: una serie infinita di precedenti simili
È proprio quello che accadde a Cincinnati nel 2016: la caduta dentro il recinto dei primati di un bambino di 4 anni sfuggito ai genitori, provocò prima il terrore del piccolo e poi l’uccisione di uno splendido esemplare di gorilla che, senza manifestare eccessiva aggressività, aveva trascinato il bambino in diversi angoli dello spazio espositivo in cui era costretto a vivere, facendo temere per l’incolumità del bimbo. Malissimo anche per l’orso bianco ucciso nel 2018 perché si era avvicinato troppo ai turisti scesi da una nave da crociera per avventurarsi nei panorami ghiacciati delle isole Svalbard. Sempre nel 2018 in Arizona, una donna affascinata dall’idea del selfie immortale, entrò nel recinto dello zoo dove era custodito un giaguaro che, ovviamente, la graffiò per difendersi dall’invasione dell’intrusa. Ma i casi sono moltissimi: il turismo di massa spinge sempre più verso l’avventura esotica e gli animali sono spesso considerati uno degli elementi del paesaggio di cui godere senza minimamente porsi il problema di avere a che fare con un essere senziente con il quale ci si deve relazionare secondo le sue regole e non secondo le nostre.

I falsi santuari in Africa e le buone intenzioni dei volontari
Ma i selfie non sono gli unici colpevoli. A volte anche il desiderio in buona fede di una esperienza a diretto contatto con gli animali si può trasformare nel loro incubo. Proprio sulle buone intenzioni dei volontari fanno leva i tanti falsi santuari che popolano l’Africa. Sono tante le strutture che si mascherano da luoghi di salvaguardia animale per attirare i tanti che amano gli animali e vorrebbero conoscerli da vicino. Si ritroveranno invece in veri e propri allevamenti sotto copertura, dove pagheranno profumatamente per dare il biberon a cuccioli di leoni e di tigri che, con buone probabilità, sono frutto di bracconaggio. Il volontario, con la sua vicinanza e familiarità, si trasformerà in colui che renderà impossibile il ritorno alla vita selvatica del cucciolo che, una volta cresciuto andrà a popolare le riserve di caccia che riforniscono di trofei i ricchi cacciatori, in arrivo numerosi  soprattutto dagli Stati Uniti.

Attenzione allo sfruttamento del volontariato
«Bisogna fare molta attenzione, prima di partire. Documentarsi e tenere gli occhi aperti: i veri santuari non sono autorizzati dalla legge ad allevare in cattività e quindi i volontari dovrebbero insospettirsi di qualunque organizzazione che gli permetta di interagire con i cuccioli», spiega Chris Mercier fondatore della ong CACH Campaign against canned hunting  e da molti anni in Africa per contrastare il fenomeno dei falsi santuari e delle riserve di caccia destinate ad animali selvatici. «Ogni anno in Africa vengono cacciati oltre 1000 leoni – aggiunge – un mercato fiorente che si alimenta con lo sfruttamento di volontari ignari». L’attenzione è dovuta. Prima di scegliere il luogo a cui offrire le proprie energie pensando di fare del bene agli animali è bene informarsi e rivolgersi a strutture che mettono la tutela e il benessere di cuccioli al primo posto: niente interazioni dirette con loro, rispetto della loro etologia e disponibilità ad un contatto limitato con gli animali sono le prime caratteristiche che permettono di individuare i veri santuari etici.

Thailandia: elefanti che giocano a pallone, dipingono o trasportano turisti. Tigri sedate che si lasciano accarezzare
Anche i santuari asiatici, in particolare in Thailandia, possono nascondere le peggiori abitudini nei confronti degli animali. Nel nord, in particolare nell’area che si estende intorno a Chiang Mai, la possibilità di imbattersi in falsi santuari è notevolissima. Il rinomato Tiger Kingdom continua malgrado le segnalazione ad offrire pacchetti turistici per avventori che vogliono il brivido della foto abbracciati ad una tigre semi dormiente sdraiata a terra oppure tenendo in mano un cucciolo. Con 54 euro si può trascorrere mezz’ora in compagnia di una tigre adulta e del suo cucciolo. Senza farsi troppe domande su come sia possibile che questi animali in natura aggressivi nei confronti degli umani si possano trasformare in gattoni da salotto, è possibile scegliere la stazza di quella con cui si vuol essere immortalati: piccola, media o grande. Più costoso l’abbraccio con un ghepardo: attualmente il sito lo pubblicizza a 500 baht, cioè 13 euro. Chi ci va, in genere poi lo racconta sui social e si difende scrivendo di essere stati rassicurati dai proprietari del centro che gli animali non erano sedati né drogati (!). Nella stessa area della Thailandia sono diffusissimi i santuari che accudiscono elefanti. In questo caso bisogna fuggire a gambe levate da quelli che propongono la cavalcata in sella al pachiderma, soprattutto se provvisto di un pesante baldacchino in legno. L’area intorno a Chiang Mai pullula di piccole strutture immerse nella giungla che offrono spettacoli con elefanti che giocano a pallone, dipingono con la proboscide, sfilano come in un circo ed eseguono svariati esercizi per i quali sono duramente addestrati. Basta guardare il programma prima di pagare il biglietto: gli “spettacoli” con elefanti addestrati sono ben pubblicizzati e vengono considerati l’attrattiva del posto.
Anche i serpenti sono tra gli animali sfruttati della zona: il Mae Sa Snake Farm,  è una specie di zoo dove si possono vedere diverse specie di rettili utilizzati per spettacoli: gli addestratori li baciano e lasciano toccare dai turisti. I serpenti appaiono spenti e imbambolati al tocco umano.

Il Tiger Temple thailandese: l’orrore dei cuccioli congelati nei frigoriferi
L’esempio più famoso di sfruttamento animale a fini turistici in Thailandia è forse rappresentato dai Tiger Temple, nella provincia di Kanchanaburi. Fondato come parco naturale, il tempio era visitato ogni anno da centinaia di migliaia di turisti attratti dalla possibilità di accarezzare le tigri che vivevano semi libere dopo essere state adottate dai monaci buddisti che gestivano lo spazio. Accusati di maltrattamento e di sfruttamento degli animali a fini turistici, i monaci furono costretti a chiudere nel 2016.
Con una vasta operazione del Thailand Wildlife Conservation Office, le 137 tigri ospiti vennero trasferite, ma in quell’occasione furono scoperti frigoriferi pieni di carcasse di cuccioli congelati che servivano a rifornire il mercato illegale di ossa e di parti di tigre utilizzate per la medicina tradizionale e i trofei. Anche il WWF si schierò contro il tempio, chiedendo la sua chiusura accusando i monaci del tempio di drogare e maltrattare le tigri per permettere ai turisti di aggirarsi in sicurezza tra loro e scattarsi fotografie. Il Tiger Temple, nel suo periodo d’oro frequentato da centinaia e centinaia di visitatori ogni giorno, è ormai una struttura fatiscente e semi abbandonata dove vivono alcuni guardiani che si occupano dei pochissimi animali superstiti: un leone e alcuni cinghiali.

Egitto: la frusta e il sole cocente per i cammelli e i dromedari che trasportano i turisti
È del 2019 una video denuncia durissima dell’associazione animalista Peta che testimonia le tremende condizioni di sfruttamento a cui sono sottoposti in Egitto cammelli e dromedari utilizzati per motivi turistici. La classica “cammellata”, la passeggiata esotica ai bordi del deserto in groppa agli animali disposti in fila indiana, ma anche i carretti trainati nei centro città o dromedari agghindati con finimenti da festa per le fotografie di rito accanto alle piramidi del Cairo, nascondono lo stesso metodo coercitivo violento. Scheletrici, denutriti, piagati, così appaiono questi animali sfruttati fino allo sfinimento, con ferite aperte e non curate, poco riposo, nessuna ombra sotto il sole cocente della capitale egiziana.
«È vergognoso che in Egitto gli animali esausti e scheletrici vengano picchiati e frustati al fine di fare infinite cavalcate sotto al sole, anche quando le loro gambe cedono e gli animali collassano» dichiarò all’epoca il direttore di Peta, Elisa Allen. Fortunatamente la pandemia da Covid – 19, bloccando il turismo, ha permesso a questi animali di prendere fiato. Ma per il futuro nessuna garanzia di cambiamento.

Coronavirus e rischi infezioni: in Africa attenzione ai gorilla “nella nebbia”
Troppo vicini. Quasi mai a quella distanza di 10 metri che i nuovi protocolli di sicurezza impongono per far in modo che i gorilla dei grandi parchi naturali africani restino immuni dall’infezione del secolo, il coronavirus. Uno studio realizzato da alcuni scienziati di Oxford ha evidenziato che oltre 1000 immagini fotografiche recuperate dai social testimoniano che, per un selfie, i turisti sono disposti a sorvolare sulle misure di sicurezza che dovrebbero garantire ai gorilla di non contrarre il virus. Gli studiosi della Oxford Brookes University analizzando quasi mille post su Instagram, sono arrivati alla conclusione che la maggior parte dei turisti si avvicina troppo, e senza mascherine, ai gorilla. Secondo Gaspard Van Hamme «il rischio di contagio tra visitatori e gorilla è preoccupante. È fondamentale rafforzare e applicare i regolamenti dei tour per garantire che i turisti non minaccino ulteriormente questa specie già in pericolo». Anche in questo caso, come in Egitto, la diminuzione drastica dei visitatori ha praticamente azzerato i contatti tra umani e gorilla di cui sopravvivono un migliaio di esemplari nell’Africa Centrale. Ma non si tratta degli unici gorilla sulla terra. Ci sono anche quelli che vivono negli zoo. E proprio in uno di questi, a San Diego in California, un piccolo gruppo di gorilla alla fine di quest’anno è stato contagiato causa dei contatti con esseri umani portatori. Uno di loro, Winston, è stato curato con gli anticorpi monoclonali. Per gli altri, dopo la guarigione, è arrivato il vaccino.

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